La cucina è la consapevolezza dell’essere. Consapevolezza è presenza, attenzione, amore. La cucina è il luogo più estremo della meditazione, cucinare è come pregare il proprio Dio. Un Dio c’è per tutti o meglio per tutti quelli che riescono a pensarlo, dirlo, scriverlo, quindi quasi tutti. Il cibo esprime amore e gratitudine verso il mondo e l’esistenza, senza cibo non c’è vita. Il cibo non è solo quella cosa che si mangia. E’ quella cosa che si vede, si ascolta, si odora e si assaggia. Il cibo entra ed esce dalla mente e dal corpo. Mi sento un pò Tenzo.
Il cuoco tibetano è il primo che si alza, accende il fuoco e prepara il cibo. L’ultimo a dormire perché provvede alla pulizia ed alla conservazione dei cibi.
Il cuoco deve essere presente con la mente e con il corpo, ogni suo gesto può arrecare un danno, chi tocca il cibo non può che amare la vita. Quando mi si chiede come ho iniziato a cucinare, rispondo: ho iniziato perché avevo paura di morire di fame.
La cucina è un tempio sacro dove trova alimento la vita, è il luogo dove si rigenera energia. Il pane, l’acqua, il riso, le rape, il pesce, i ceci, diventeranno il nostro corpo come un’eucarestia quotidiana. Rendiamo grazie.
Il frigo è il nostro tabernacolo, il nostro altarino, per alcuni l’inginocchiatoio. Quando si tocca il cibo bisogna avere rispetto ed amore, cura e passione trattarlo come se accarezzassimo il viso della nostra amata.
Quando qualcuno mi chiede: mi insegni a cucinare? Lo metto a lavare i piatti, è da li che partono i veri talenti. Per conoscere una persona dal profondo, dategli da mangiare e guardategli nel piatto: è come leggergli la mano.
La vista inganna, il gusto ammalia, l’odore ci avvolge ma un cibo deve prima di tutto essere energia. Rispettiamo il cibo e rispetteremo la vita.
“Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei.” Anthelme Brillat-Savarin